Quando ero ragazzino, mia nonna regalò a me e a mio fratello un televisore da tenere in camera. Mio padre, preoccupato che potessimo passarci troppo tempo, installò un timer che permetteva di guardarlo solo dalle 16 alle 18. La cosa curiosa? Il timer era praticamente a prova di manomissione: la spina era fissata alla presa e c’era un interruttore a chiave. Eppure, da adolescente, il divertimento non stava tanto nel possedere la chiave (che, tra l’altro, era piuttosto facile da ottenere, semplicemente chiedendola) quanto nel trovare modi per bypassare il sistema, senza mandare in corto tutto.
Questo ricordo mi fa riflettere sul dibattito attuale sul vietare gli smartphone ai minori. Quando vuoi qualcosa da adolescente, trovi sempre un modo per ottenerlo senza badare alle possibili conseguenze. Il divieto, quindi, rischia di essere solo una scorciatoia, una soluzione temporanea che non affronta la radice del problema ma anzi lo rende invisibile. Vietare non educa, peró educazione e dialogo richiedono tempo ed energie, risorse che spesso non siamo disposti a investire.
Non ho figli e non intendo addentrarmi troppo in terreni che non conosco bene, ma questa spinta proibizionista mi sembra rivelare una nostra incapacità, come adulti, di gestire la tecnologia. Forse perché non la comprendiamo fino in fondo, come diceva Einstein: “Non hai veramente capito qualcosa finché non sei in grado di spiegarlo a tua nonna”. E se non sappiamo spiegare la tecnologia, come possiamo pretendere di educare le nuove generazioni? Invece di vietare, non sarebbe meglio iniziare a capire questi strumenti e a pensare davvero ciò a che vogliamo insegnare alle nuove generazioni?
E tu che cosa ne pensi?
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