Unpopular Opinion: ho ragionato a lungo se scrivere qualcosa su questa vicenda perché ho un punto di vista molto distante da tante persone che stimo e rispetto che negli scorsi giorni si sono “attivate” per questo motivo.
Negli ultimi giorni si è parlato molto di un grande gruppo Facebook in cui circolavano immagini intime condivise senza consenso.
⚠️Bene ricordarlo subito: in Italia è un reato, punto.
Ma c’è un aspetto che mi preoccupa quasi quanto il fatto in sé: il modo in cui reagiamo.
La dinamica è nota: si pubblica sui social il nome del gruppo, si chiede di segnalarlo “tutte e tutti”. Risultato? Oltre alle segnalazioni, migliaia di accessi curiosi. C’è chi entra per capire, chi per curiosità🤢, chi per salvare le immagini🤮. L’effetto è quello dell’“incidente in autostrada”: si rallenta, si guarda, la coda cresce. E intanto cresce anche l’esposizione delle persone ritratte. L’intenzione è buona; l’esito, spesso, no.
Non sto dicendo che la denuncia pubblica sia sempre sbagliata. Sto dicendo che, se la denuncia aumenta l’audience del materiale, rischiamo di trasformare l’indignazione in ulteriore violenza. In questi casi serve una logica semplice: primum non nocere.
Che cosa si può fare, second me, per proteggere e agire:
– Non condividere nomi di gruppi, link o screenshot. Anche “per indignazione”.
– Segnala in modo diretto alla piattaforma (senza rilanciare pubblicamente il nome).
– Avvisa, eventualmente, la Polizia Postale (quando ci sono estremi di reato).
– Coinvolgi chi se ne occupa professionalmente: associazioni come PermessoNegato accompagnano persone e istituzioni in questi percorsi.
– Se lavori nella comunicazione/advocacy: definisci un protocollo di riduzione del danno (niente nomi/link; raccolta di evidenze per le autorità; canali diretti con le associazioni).
– Se ti capita di entrare in contatto con il materiale: non scaricare, non salvare, non inoltrare. Chiudi, segnala, esci.
La giustizia non passa mai dalla “caccia al mostro” social, ma da pratiche che proteggono le persone qui e ora. Coltiviamo indignazione quando è giusta, ma con metodo e cura. Perché la condivisione non consensuale è già una violenza: non dobbiamo in alcun modo amplificarla.
Se hai bisogno o conosci chi ha bisogno, non restare solə: rivolgiti alla Polizia Postale o forse ancora prima ad associazioni competenti come PermessoNegato.
Per chi fa attivismo: continuiamo a farlo, ma con attenzione anche agli effetti indiretti che produciamo agendo in un determinato modo.