Ovvero proteggere sì, sorvegliare no

Parto da un punto fermo: la condivisione non consensuale di immagini intime (NCII) è una violenza e un reato. Va contrastata con ogni mezzo legale, subito, a tutela delle persone coinvolte.

Detto questo, c’è un pensiero che mi tormenta: da mesi in Europa (e in UK) si parla di age verification e temo che, sull’onda del giusto sdegno per i recenti fatti di cronaca legati a siti e gruppi Facebook, si provi a introdurre misure drastiche sotto l’etichetta della protezione.

Age verification e identificazione certa possono sembrare misure innocue — persino “giuste”. In pratica, però, spalancano porte difficili da richiudere:

  1. Identificazione obbligatoria
    Per verificare l’età bisogna collegare l’accesso alla tua identità reale. Risultato: meno anonimato, più tracciamento.
  2. Database centralizzati
    Gli elenchi degli “utenti verificati” sono un bersaglio perfetto per abusi e data breach. Se trapelano, addio privacy.
  3. Precedente normativo
    Oggi i siti per adulti; domani i social; dopodomani qualunque piattaforma. Il “lo facciamo per i minori” diventa la password per estendere il controllo.
  4. Normalizzazione della sorveglianza
    Troppo spesso l’idea dell sicurezza è servita a convincere le persone a rinunciare a pezzi della propria libertà.

Domanda scomoda ma necessaria: se domani un governo rendesse illegale l’omosessualità, cosa accadrebbe a chi, da “verificato”, ha fruito di contenuti o servizi LGBTQIA+?

Cosa chiedere, invece
• Takedown rapidi e standardizzati (processi chiari, escalation efficaci, sanzioni per chi non rimuove).
• Prevenzione del ri-upload (hashing, segnalazioni qualificate, cooperazione inter-piattaforma).
• Supporto alle persone e alle realtà competenti (es. PermessoNegato ) e più risorse alla Polizia Postale.
• Educazione digitale e consenso: cultura e prevenzione, non solo gestione dell’emergenza.
• Se proprio si parla di “age assurance”: solo con minimizzazione dei dati, verifiche on-device (senza invio di documenti), niente database centralizzati, audit indipendenti, limiti di scopo, clausole di tramonto e divieto di riuso.

La tutela non può diventare il cavallo di Troia contro l’anonimato e la libertà di espressione. Difendere i diritti significa proteggere le persone e, insieme, le garanzie che ci rendono libere e liberi online. Sdegno sì, scorciatoie no. Lavoriamo su ciò che riduce davvero il danno senza costruire un’infrastruttura di controllo che poi non smontiamo più.

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