Ci sono luoghi a cui si torna sempre volentieri. Luoghi che diventano porti sicuri, punti di riferimento in cui ritrovarsi e ripartire con nuove prospettive (e in questo momento storico abbiamo maledettamente bisogno di porti sicuri)

Per me, da quattro anni a questa parte, quel luogo è il Non Profit Women Camp.

Non è un evento come gli altri. Certo, c’è formazione, c’è networking, ci sono interventi di altissimo livello. Ma il valore aggiunto è altro: è la possibilità di fermarsi a riflettere, di discutere di professionalità, stipendi, diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, di dinamiche sociali che attraversano il nostro settore e il mondo in cui ci muoviamo. È un modo diverso, più attuale e più consapevole, di vivere il nostro lavoro e forse, addirittura, cambiarlo.

Dalla prima volta in cui ho partecipato, il Camp ha acceso in me domande e disegnato percorsi: libri, podcast, incontri, lezioni. Soprattutto mi ha portato a capire il valore dell’ascolto e a ridefinire in modo più ampio quello dell’accoglienza. Mi ha fatto riflettere sui miei limiti, sui miei privilegi e sulle storture culturali che la nostra società.

E proprio per questo torno ogni anno: perché il Camp è una bussola. Mi aiuta a capire dove sto andando, dove sto ancora sbagliando e dove posso crescere. È un luogo di confronto e di crescita, ma soprattutto un luogo sicuro, fatto di persone straordinarie che hanno esperienze da condividere e visioni da raccontare.

Grazie a Federica e Francesca, alle volontarie (femminile sovraesteso), al Comitato Scientifico, alle speaker e a tutta l’organizzazione del Camp per aver costruito, anno dopo anno, qualcosa di così prezioso.

E grazie a tutte le persone con cui ho avuto il piacere di parlare, confrontarmi, ascoltare e imparare. Ci rivediamo al prossimo porto.

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