💬 «È triste rendersi conto di essere comunità solo quando ad accomunarci è il dolore.»
(Irene Facheris, Noi c’eravamo)

Questa frase mi ha colpito. Nel profondo.
Nasce in un contesto di attivismo, ma parla anche di noi: del Terzo Settore, di chi fa fundraising.

Perché, alla fine, attivismo e non profit sono sforzi collettivi – e spesso titanici -per cambiare ciò che non funziona. Due mondi che provano a trasformare la realtà a partire dalla cura e dalla responsabilità.

Lavorare nel non profit e fare fundraising è bello e faticoso insieme: si sta in equilibrio tra bisogni organizzativi, aspettative interne, limiti di budget, storie da raccontare con cura, relazioni da custodire.
E poi ci sono i risultati, i numeri, gli indicatori, gli obiettivi.

Eppure, a volte, tutto questo pesa.
E pesa anche il senso di solitudine che accompagna la fatica.

Quante volte, parlando con colleghe e colleghi, è emersa la stessa domanda:
«Ma chi ce lo ha fatto fare?»
La stessa domanda che incontra Facheris, parlando di attivismo.
Sembra una battuta, ma racconta molto.

Racconta la richiesta continua di coerenza.
Racconta la sensazione di non essere sempre comprese o compresi.
Racconta il dover tenere insieme obiettivi, pressioni, aspettative… lasciando spesso fuori dalla porta le emozioni, per non “appesantire” il resto del team.
E qui torna la frase di Facheris:
👉 spesso ci riconosciamo “comunità” solo nei momenti di difficoltà.

Quando prevale la stanchezza.
Quando qualcosa si rompe.
Quando non riusciamo a spiegare perché un database è fondamentale o perché una strategia non si improvvisa.
Quando ci accorgiamo che il peso è troppo per una sola persona.
Ma una cosa l’ho imparata, in tanti anni: la solitudine non è un destino professionale.
Il fundraising, come l’attivismo, è un lavoro collettivo, anche quando si lavora da soli o da sole.

L’attivismo, come il fundraising, ha bisogno di una rete. Non solo una rete di sicurezza o d’emergenza: una rete di competenze, conoscenze e capacità, aperta al confronto e all’ascolto.

Fare rete, confrontarsi in modo onesto, riconoscersi nelle fatiche altrui senza giudizio: sono le cose che ci salvano. Ci tengono insieme. Ci impediscono di confondere la stanchezza con il fallimento. Ci aiutano a crescere e a trasformare gli sforzi in risultati.

Il Terzo Settore ha bisogno di comunità non solo quando le cose vanno male, ma perché vadano meglio.
E questo vale per chiunque, forse un po’ di più per chi si occupa di raccogliere risorse, costruire fiducia, tenere vivo il legame con chi sostiene le nostre cause.

💛 Se facciamo rete, non siamo più soltanto persone stanche: diventiamo una comunità che si sostiene, anche quando c’è dolore. E da lì, insieme, troviamo soluzioni.

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