Una delle cose che mi ha sempre messo a disagio nell’uso degli strumenti “pop” di intelligenza artificiale (leggi ChatGPT, Gemini e compagnia) è la solitudine.
Quella sensazione di trovarsi davanti alla Pizia, a un Palantir, a quell’abisso che ti guarda dentro (per scomodare Nietzsche) e che ti restituisce risposte senza che tu possa davvero condividerne il peso, o il contesto, con altre persone.
Negli ultimi giorni ChatGPT ha introdotto una funzione nuova: la condivisione della chat.
All’inizio l’ho provata in modo banale: condividi, chiedi, verifica.
Poi mi è venuta un’idea.
Avevo in mente un progetto che richiedeva competenze che non ho ma che, per mia fortuna potevo ritrovare in Pao.
Così ho aperto una chat condivisa e abbiamo iniziato a interagire io, Pao e ChatGPT.
🎇 L’effetto è stato sorprendente.
Non è più una persona sola davanti alla “bestia”.
È un dialogo a tre voci:
• le mie domande,
• le competenze di Pao,
• e un modello linguistico che mette insieme pattern, conoscenze, framework, riferimenti che nessuno dei due ha nella propria completezza.
Certo, l’AI resta un po’ troppo “affirmative”, come i cani da lunotto (cit.) – annuisce, asseconda, ti segue anche quando dovrebbe frenarti – ma il risultato è stato comunque potentissimo.
Perché la vera novità, ancora una volta, non è la funzione tecnica: è la collaborazione.
È il fatto che, finalmente, non si interagisce più in solitudine con un sistema che sembra una divinità opaca, ma lo si inserisce dentro una rete di competenze umane reali.
Una conversazione plurale che arricchisce sia noi sia l’output.
Questa, secondo me, è una delle frontiere più interessanti dell’AI generativa (almeno di quella “pop”)
👉 usare lo strumento non per sostituire competenze, ma per metterle in relazione;
👉 non per dialogare con un’entità isolata, ma per potenziare il dialogo tra persone;
👉 non per cercare risposte, ma per costruire processi.
In una parola: pazzesco.
E ora sono curiosissimo:
🧭 Avete già testato questa funzione? E chi avete “portato dentro” le vostre chat?
Avete già ragionato su come cambia il modo di lavorare quando l’AI diventa una terza voce, invece di un mistico oracolo solitario?