Non sono convinto che lo schwa sia la soluzione definitiva ai problemi linguistici legati al genere. Tuttavia, da qualche tempo ho scelto di utilizzarlo in determinati contesti. Spesso mi trovo a lavorare sul testo, inserendo perifrasi o cambiando l’impostazione di una frase per evitare il maschile sovra-esteso e rendere il linguaggio più ampio. Altre volte, invece preferisco utilizzare lo schwa. Perché?
Questa domanda ha una risposta un po’ articolata. Il primo motivo di questa scelta, e forse quello più semplice, è che lo schwa è pronunciabile, a differenza dell’asterisco che per anni ho utilizzato nelle email e in altre comunicazioni rivolte a un pubblico misto dal punto di vista dei generi. La cosa particolare, col senno di poi, è che allora, a metà degli anni novanta, nessuno si sentiva di criticare questa scelta, che al massimo era vista come una bizzarria da nerd. Certo, c’è chi dirà, anche la “u”, che alcune persone propongono come emulazione di un neutro latino, è pronunciabile e anzi comporta meno problemi, perché la sua pronuncia è semplice essendo familiare, e perché non presenta i limiti di accessibilità e usabilità che lo schwa invece si porta dietro.
Vero, verissimo, ma è proprio quella piccola difficoltà il secondo motivo che mi fa optare per lo schwa tra le tante ipotesi proposte. Quando lo ritengo utile, uso le forme che l’italiano offre per cercare di non escludere nessuna persona dal discorso (come in questo caso), ma ci sono momenti in cui quel piccolo segno grafico è dannatamente utile.
Tempo fa, discutendo di questa questione con un amico che si accalorava sull’inutilità dello schwa, mi venne in mente una metafora che rende perfettamente la mia idea: lo schwa è una pietra d’inciampo linguistica, un elemento poco visibile ma “fuori posto” che attira l’attenzione di chi passa e richiama anche i distratti alla memoria del problema. Tra qualche anno, si spera, questa questione sarà superata, ma fino ad allora, volutamente, cocciutamente e fastidiosamente utilizzerò lo schwa per fare inciampare le persone distratte.
Come scrive la socio-linguista Vera Gheno: “È un segnale. Ha una forte valenza simbolica di rendere visibile l’esistenza di un gruppo di persone che oggi fuori dalle comunità queer si sente emarginato.” [fonte] Questa visibilità, questa attenzione al dettaglio, è ciò che lo schwa rappresenta per me. Non è una soluzione perfetta, ma è un passo verso una comunicazione più inclusiva e consapevole.