Qualche giorno fa ho ascoltato una pubblicità che mi ha lasciato un po’ perplesso. Non citerò il marchio perché il punto non è criticare un’azienda specifica, ma riflettere su alcune scelte comunicative che, forse involontariamente, rischiano di danneggiare settori importanti come non profit e che al contempo rendono più complicato per chi ascolta il rapporto con l’uso dei dati.

La pubblicità in questione parlava della “Giornata Nazionale dell’Acido Ialuronico”. Un titolo che, a una prima lettura, può sembrare ironico, ma che mi ha fatto riflettere sul valore – e sul disvalore – che si può attribuire a queste ricorrenze.

Le giornate nazionali, internazionali o mondiali non sono solo momenti simbolici: per tante organizzazioni non profit rappresentano occasioni cruciali per sensibilizzare il pubblico su cause importanti. Penso, ad esempio, alle giornate dedicate alla lotta contro il cancro al seno, alla sensibilizzazione sulle malattie rare, o a molte altre problematiche che faticano a trovare spazio nei media.

Ecco perché l’uso di una “giornata nazionale” per promuovere un prodotto commerciale rischia di banalizzare l’importanza di questi momenti. Creare giornate per ogni cosa – dal tortellino fritto all’acido ialuronico – contribuisce a una percezione di inflazione simbolica, rendendo meno credibili e meno visibili quelle cause che davvero trovano in queste ricorrenze occasioni importanti di visibilità per attirare attenzione e supporto.

Ma c’è un altro elemento che mi ha colpito. Nella stessa pubblicità si dice che “il 50% si degrada ogni giorno*”. È un’affermazione che, così presentata, genera più confusione che informazione. Se ci fermiamo un attimo a riflettere, dire che una sostanza si dimezza ogni giorno implica che in pochi giorni sparisca (quasi) del tutto – un’idea alquanto improbabile. Raccontare i dati in modo impreciso o sensazionalistico non solo alimenta scetticismo verso la scienza, ma mina anche la fiducia nel valore dei dati in generale.

In un’epoca in cui la comunicazione è il ponte tra istituzioni, aziende e persone, penso che tutti abbiamo la responsabilità di considerare come le nostre parole – o le nostre pubblicità – possano influire su temi più ampi.

Il “rasoio di Halon” suggerisce che probabilmente si tratta più di sciatteria che di malizia ma il mio intento non è giudicare, ma invitare a una riflessione: siamo davvero consapevoli delle conseguenze di ciò che diciamo?

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