Lo scandalo è questione di percezione. Ma l’etica?

🤨 Negli ultimi giorni ha preso piede un dibattito accesissimo sull’uso delle immagini generate con ChatGPT in stile Studio Ghibli o ispirate ad altri artisti iconici. Al centro: il diritto d’autore, lo stile, l’arte, il ruolo dell’artista.
E la polemica è esplosa con forza.

🤔 Comprensibile: quando si tocca l’arte visiva, il colpo è immediato, riconoscibile, condivisibile. Le immagini colpiscono, emozionano, viaggiano sui social.

🤖 Eppure, pochi si sono scandalizzati quando l’intelligenza artificiale ha iniziato a scrivere codice, imparando – o meglio, assorbendo – da milioni di righe pubblicate su GitHub o su altre fonti. Nessun urlo di appropriazione culturale quando ha iniziato a imitare stili di scrittura o tecniche di traduzione. Forse qualche polemica in più per le strutture musicali.

Certo, è più difficile riconoscere lo “stile” di un programmatore o di un traduttore rispetto a quello di Miyazaki. Ma dal punto di vista etico, le dinamiche sono sorprendentemente simili.
Il punto, quindi, non è dire se questo sia giusto o sbagliato. Non è (solo) questione di copyright o di appropriazione culturale.

È questione di come scegliamo di convivere con queste tecnologie.
È questione di consapevolezza, di etica, di evoluzione delle nostre competenze.
Perché se fino a ieri celebravamo chi riusciva a fare un’app senza scrivere una riga di codice grazie all’IA, oggi non possiamo scandalizzarci soltanto perché qualcuno ha generato un Totoro malinconico sotto la pioggia.
Non ci servono reazioni binarie, ci serve pensiero critico.
Ci serve tempo per riflettere – insieme – su che cosa significhi lavorare, creare, e imparare in un mondo dove il confine tra originale e derivato è sempre più sottile.
E magari, prima di scandalizzarci, chiederci: perché questa cosa mi tocca così tanto? E perché altre, simili, non mi hanno toccato affatto?

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