Viviamo in un’epoca in cui le nuove tecnologie, in costante e rapidissima evoluzione, sono sempre più accessibili. Questa democratizzazione degli strumenti digitali ha portato a enormi benefici, ma nasconde anche delle insidie.

Uno dei rischi maggiori è la sottovalutazione delle competenze necessarie per utilizzare efficacemente questi strumenti. Questo fenomeno, che possiamo definire “arroganza epistemica“, si manifesta quando si confonde l’accessibilità e l’usabilità di una tecnologia con la sua padronanza effettiva. In altre parole, solo perché possiamo accedere a una tecnologia non significa che sappiamo realmente come sfruttarne il potenziale: il fatto che un bambino di pochi anni utilizzi “meglio” lo smartphone rispetto a un adulto di mezz’età non rende il primo più competente del secondo, ma solo più veloce.

Questa situazione è particolarmente delicata nel contesto professionale, dove spesso chi ha una lunga esperienza lavorativa può cadere nella trappola di pensare che l’adozione di nuove tecnologie sia semplice quanto lo sembra il loro utilizzo di base. Non è raro che in queste valutazioni ci si affidi a conoscenze superficiali, sottovalutando la complessità e la formazione necessaria per ottenere veri risultati.

Il fenomeno è ben illustrato dal cosiddetto effetto Dunning-Kruger, secondo cui individui con bassa competenza in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità, mentre coloro che sono molto competenti spesso sottostimano le proprie capacità. Applicato al contesto tecnologico, ciò significa che chi ha meno familiarità, ad esempio, con l’AI può credere erroneamente di padroneggiarla solo perché è in grado di utilizzarne alcune funzioni elementari.

Se da una parte questo può portare a conclusioni errate dovute alla scarsa competenza, dall’altra si rischia di valutare i risultati non in base alla funzionalità dello strumento, ma alla capacità di utilizzarlo.

Questa riflessione vuole essere un invito a considerare l’importanza della formazione continua e della cultura della formazione all’interno delle nostre organizzazioni. La vera maturità digitale   non si raggiunge semplicemente “comperando” nuove tecnologie, ma comprendendo profondamente come queste possano essere integrate nei processi lavorativi in modo efficace e strategico.

È fondamentale incoraggiare un approccio umile e proattivo che investa sulle persone in termini di tempo e di formazione, incentivando lo sviluppo personale e professionale, coltivando la curiosità e l’apertura al cambiamento. Solo così potremo passare dalla trasformazione alla maturità digitale.

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