🚦 Nel 2018 il GDPR ha cambiato il modo in cui parliamo di dati.
Nel 2025, l’Articolo 4 dell’AI Act promette di fare lo stesso con l’intelligenza artificiale, introducendo un concetto tanto semplice quanto rivoluzionario:  AI Literacy .

🎓 Dietro questo concetto c’è l’idea – finalmente! – che usare strumenti intelligenti richiede intelligenza, non solo artificiale ma soprattutto umana. E quindi: formazione, consapevolezza, capacità critica. Per usare l’AI non serve un brevetto come per pilotare un drone, né una patente come per guidare un’auto. Ma forse dovrebbe. Perché quando usiamo la tecnologia senza sapere come funziona, finiamo per credere che funzioni sempre. E invece…

👤 Il risultato? Un ecosistema pieno di utenti affetti da “arroganza epistemica”: persone che non sanno cosa stanno usando, né come, ma sono convinte che l’AI (come qualunque altra tecnologia) sia la bacchetta magica per risolvere ogni problema.

📈 L’obbligo di  AI Literacy è, da questo punto di vista, un passo storico (forse esagero un po’). Ma – come già visto col GDPR – porterà con sé un’ondata di “guru” improvvisati, corsi lampo, certificazioni farlocche. Fuffa a profusione. Orientarsi sarà difficile.

⚖️ Da una parte quindi il rischio della retorica, dell’autoreferenzialità, del mercato del miracolo. Dall’altra, un’opportunità reale e preziosa: quella di creare – finalmente – una cultura condivisa attorno a una tecnologia che è già parte delle nostre vite.

💡 Per chi, come me, lavora nella formazione, nella progettazione sociale o nel non profit, questo è il momento di farsi domande scomode e dare risposte utili. Non per costruire nuove verità assolute, ma per evitare che le vecchie illusioni si travestano da innovazione.

📚 Alfabetizzare significa dare strumenti. Non dogmi. E questa, oggi più che mai, è una responsabilità condivisa.

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