Recentemente, leggendo una riflessione di Tlon su un video di Donald Trump e il concetto di caos magico applicato alla geopolitica, ho trovato interessante come questa dinamica si possa osservare anche in contesti più quotidiani, come il mondo del lavoro.
Gary Lachman, nel suo libro La stella nera. Magia e potere nell’era di Trump, descrive una strategia di potere che non si fonda sulla persuasione, ma sulla capacità di stordire. La creazione deliberata di confusione – attraverso narrazioni surreali, contraddizioni sistematiche e ribaltamenti della realtà – non serve a convincere, ma a destabilizzare. È una forma di ipnocrazia che mantiene le persone in uno stato di disorientamento costante, rendendole vulnerabili.
E se questo stesso meccanismo fosse in atto, in forma più sottile, anche nei nostri ambienti professionali?
Quante volte ci siamo trovati di fronte a richieste assurde, obiettivi illogici, briefing volutamente vaghi? Situazioni in cui la sfacciataggine con cui vengono violate le convenzioni, le norme, a volte persino il buon gusto, diventa uno strumento di potere. Il risultato è che chi riceve queste sollecitazioni si ritrova a sprecare tempo ed energie per cercare di decifrarle, mentre chi le emette mantiene il controllo, spostando continuamente il baricentro della discussione.
Questa non è semplice incompetenza. È un esercizio di potere che mira a disorientare, a far perdere il filo, a ribaltare le dinamiche consolidate. E come ogni forma di manipolazione, funziona finché non la si riconosce per quello che è.
Forse la vera sfida è proprio questa: riconoscere la confusione intenzionale e smettere di giocare secondo le sue regole. Chiedere chiarezza. Rifiutare il nonsense. E anziché sprecare energie per decifrare l’indecifrabile, ribaltare la dinamica con una domanda semplice e diretta: “puoi spiegarti meglio?”
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