Mentre le emozioni del Festival del Fundraising iniziano a decantare e lasciare spazio per una prima analisi di questi giorni intensi, mi ritrovo a cercare le parole per esprimere questi pensieri e da questa ricerca parto con una prima considerazione un po’ a margine di questa esperienza.

Più volte durante queste giornate, ma ancora più spesso se vado indietro con il pensiero, mi sono chiesto quali siano le parole più giuste per dire alcune cose.

In una puntata del suo podcast, parlando del recente “scivolone linguistico” del Papa, Vera Gheno rifletteva su come il linguaggio sia collegato al contesto in cui viene utilizzato creando un paragone spaziale con gli ambienti della casa, dal bagno, al tinello fino al balcone e ribadendo come in ciascuno di questi contesti si possibile e lecito usare registri linguistici diversi pronunciando parole, concetti e pensieri che altrove risulterebbero quanto meno stonati se non addirittura offesivi e impresentabili.

In questa metafora il limite è spaziale ma certamente è possibile, senza uscire dalla metafora, immaginare che tra le mura della casa vi siano ospiti o che per prossimità quegli spazi lascino trapelare parole non intese per essere ascoltate da persone estranee a quell’ambiente.

Partendo da qui mi sono chiesto se sia possibile educarci a un lessico meno spietato e tecnico che porvi a mantenere la centro del discorso la persona, il donatore, e non guardi solo il processo.

Potrebbe sembrare un atteggiamento ipocrita, in fondo sappiamo bene che, ragionando su i numeri si finisce per perdere di vista il singolo e che nella complessità di un processo si usano scorciatoie linguistiche che rendono l’idea senza “far male a nessuno”: per esempio parlare di eliminare chi non legge le nostre email, non significa certo pensare di togliere di mezzo qualcuno, ma le parole hanno un potere evocativo e forse c’è un modo meno drastico di esprimere lo stesso concetto.

A questo punto, se qualcuno è arrivato fin qui, ci sarà certo chi pensa che queste sono questioni inutili e che al mondo ci sono altri problemi ben peggiori, se questo mai fosse un problema e, almeno sulla prima parte del pensiero posso anche concordare. Ma come qualcuno più saggio di me ha detto “non siamo degli iPad di prima generazione e possiamo occuparci di più questioni in contemporanea”.

Vorrei trovare parole nuove per dire meglio quello che un lessico ereditato dal marketing e dal profit ci ha abituato a banalizzare, oggettificare e quantificare in un modo che, se ci ascoltasse qualcuno di estraneo, non faremo mai: in fondo a tutti noi infastidisce quando un “fornitore” chiama i nostri donatori clienti.

Vi è mai capito, in questi giorni, o nel vostro lavoro di trovarvi a pensare che una certa parola fosse proprio brutta o inappropriata?

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