Nel Terzo Settore italiano, l’uso diffuso del “tu” e di un linguaggio informale è spesso visto come un modo per promuovere vicinanza e collaborazione. Tuttavia, questa pratica può portare a conseguenze inattese, come l’offuscamento dei ruoli professionali e l’insorgere di dinamiche problematiche.
Ad esempio, riferirsi ai colleghi o ai fornitori come “ragazzi” o “ragazze” può sembrare un gesto amichevole, ma rischia di infantilizzare e sminuire la professionalità degli interlocutori. Questo fenomeno, noto come infantilizzazione, può minare la percezione del ruolo e delle competenze delle persone coinvolte.
L’eccessiva informalità non elimina le gerarchie esistenti, al contrario, può renderle meno trasparenti, creando incertezza e potenziali malintesi. Come evidenziato in studi sulla comunicazione aziendale, affidarsi esclusivamente a modalità informali può compromettere l’efficienza dei processi, aumentando il rischio di errori e incomprensioni. Questo non significa necessariamente tornare al lei ma certamente è utile trovare un equilibrio tra informalità e formalità, adattando il registro comunicativo al contesto e alle persone coinvolte. Questo approccio consente di mantenere chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità, evitando sia l’eccessiva rigidità sia la confusione derivante da una comunicazione troppo disinvolta.
Riflettere sul nostro modo di comunicare e sulle implicazioni che esso comporta è essenziale per costruire ambienti di lavoro inclusivi e rispettosi, dove la professionalità di ciascuno venga riconosciuta e valorizzata.
È il problema principale del nostro ambiente? No, ma è uno sforzo abbastanza contenuto che possiamo fare, uno di quelli che mi piace chiamerò le cose davvero poco faticose.
Quali sono le vostre esperienze riguardo all’uso dell’informalità nei contesti professionali? Avete mai percepito che un linguaggio troppo informale abbia influenzato negativamente le dinamiche lavorative?
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